Vinsanto: il nettare dell’ospitalità Toscana
Il Vinsanto è uno dei vini passiti italiani più noti: apprezzato un po’ ovunque, ha alle sue spalle una storia molto lunga. In Toscana, il Vinsanto appartiene alla memoria collettiva, ed evoca una civiltà contadina ormai scomparsa, dominata dalla figura del mezzadro e dalla famiglia colonica. Del passato di questo vino così tanto conosciuto, ben poco ci è dato sapere con certezza, e la letteratura non ne parla almeno fino alla seconda metà del Settecento. Neppure l’origine del nome “Vinsanto” è stata stabilita con certezza, e benché le ipotesi siano varie, almeno otto, la questione rimane tuttora aperta e irrisolta. Alcune leggende Fiorentine legano la nascita del termine Vinsanto alla lingua ellenistica tramite le parole Xantos (città Greca, odierna Xanthi) e Xanthòs (aggettivo greco che significa “giallo, biondo”). Tali parole sarebbero state scambiate e trasformate nel termine corrente. Altra spiegazione fa riferimento ad una leggenda, non più fiorentina, ma senese: Durante la peste del 1348, pare che a Siena un frate distribuisse quello che oggi chiamiamo Vinsanto agli ammalati, e che il nome dunque derivi dagli effetti terapeutici, quasi miracolosi, che la bevanda aveva sugli infermi. La spiegazione più fondata, infine, fa riferimento a fattori interni al ciclo produttivo del Vinsanto. Infatti, per ottenere il Vinsanto, alcuni spremono le uve o ai primi di novembre, altri nel corso delle feste natalizie ed altri ancora nel periodo pasquale. Inoltre, alcuni produttori imbottigliano il Vinsanto in novembre, mentre altri in aprile. Siamo dunque sempre nelle vicinanze di alcune tra le più importanti fese religiose del calendario cristiano: Ognissanti, Natale e la Settimana Santa. Tante e tali coincidenze non possono non far nascere il sospetto che l’orine del nome Vinsanto vada ricercata proprio qui.
In tutte le occasioni festose era presente il Vinsanto, ed inoltre, questo vino accompagnava tutti i riti fondamentali della vita umana come il battesimo, la cresima ed matrimonio quasi a sottolineare la sacralità del momento. Liquore prezioso e raro, il vinsanto era simbolo di una certa agiatezza, perché era ed è ancora oggi, un vino molto costoso per il produttore, che doveva conservarlo chiuso nei caratelli per molti anni. Nonostante questo ben pochi erano i mezzadri privi di almeno un caratello nascosto nel solaio. Viene allora da chiedersi perché i piccoli proprietari e i mezzadri fossero disposti ad un sacrificio di non poco conto in termini economici e di fatica pur di avere un caratello di vinsanto ogni anno non destinato certo al commercio, ma ad un uso assolutamente privato. La risposta è semplice: perché in Toscana il Vinsanto era divenuto il vino dell’ospitalità per eccellenza. Non avere un fiasco od una bottiglia in cantina significava non solo condizioni economiche disagiate, ma anche una certa mancanza di ospitalità da parte della famiglia contadina. Per il mezzadro il bicchierino di vinsanto offerto al padrone in visita alla casa colonica era poi motivo di grande orgoglio, nonché prova del buon andamento dell’economia familiare. E sempre con il vinsanto venivano festeggiati alcuni particolari momenti della vita nei campi come la mietitura e la battitura del grano. Un vecchio proverbio recita: “Prima di metterti in cammino, beviti un vinsantino”. Infatti molti erano i contadini che la mattina a digiuno oppure insieme al pane bevevano un po’ di vinsanto per acquisire la forza necessaria ad affrontare una dura giornata di lavoro. Tale pratica veniva messa in atto sia dall’umo di casa che la donna, a testimoniare che il vinsanto era molto amato anche dal pubblico femminile. Il vinsanto era amato da tutti, uomini e donne, signori e contadini; era il grande livellatore sociale della Toscana ottocentesca e dei primi decenni del nostro secolo. In poche parole, dove si beveva vinsanto regnava buon umore e fratellanza, come se questo liquore ambrato fosse capace di far prevalere il lato migliore, più amabile di tutti gli uomini. Noi oggi abbiamo perso gran parte di questa tradizione, ed abbiamo confinato il vinsanto a fine pasto come vino da dessert, generalmente in abbinamento ai biscotti di Prato. Eppure il Vinsanto è molto di più che un semplice vino da dessert, infatti, dobbiamo recuperare quel concetto di vinsanto come simbolo di ospitalità e simpatia, e cominciare ad offrirlo all’ospite che viene in visita. Il vinsanto non ha bisogno di un particolare accompagnamento: è autosufficiente e da solo sa creare l’atmosfera giusta per qualche attimo di libertà, dimenticando gli affanni quotidiani. Oppure, al contrario, sa essere il compagno taciturno di un buon libro o di una riflessione ad occhi chiusi: come vino da meditazione sa dare tanto, chiedendo per sé solo un po’ di piacevole attenzione.