La terra del Gallo nero
Il territorio del Chianti Classico
La Strada del Vino e dell’Olio Chianti Classico attraversa una delle zone enoiche più celebri al mondo, sia per la bontà dei suoi vini che per la bellezza del paesaggio.
Nata nel dicembre 2008, è una delle Strade più giovani, nonostante i confini della “regione” Chianti Classico siano definiti sin dal 1716, per opera di Cosimo III dei Medici. Questo e molto altro ci illustra Silvia Fiorentini, membro del Consiglio d’amministrazione della Strada del Vino e dell’Olio Chianti Classico.
La Strada è stata creata dal Consiglio del Consorzio Vino e da quello dell’Olio Chianti Classico, dalla Fondazione per la tutela del territorio del Chianti Classico e dai 9 Comuni della zona: Barberino Val d’Elsa, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Gaiole in Chianti, Greve in Chianti, Poggibonsi, Radda in Chianti, San Casciano in Val di Pesa e Tavarnelle Val di Pesa. Oggi i soci sono più di 50, fra enti, aziende vinicole, oleicole, ristoranti, alberghi ecc.
Finalmente in pace
È un territorio collinare che si estende su circa 70.000 ettari in modo abbastanza omogeneo, nonostante alcune zone più antropizzate si alternino ad altre rimaste intatte. Diviso fra le Province di Firenze e Siena, è stato a lungo conteso fra le due città, storiche rivali. I 9 Comuni del Chianti oggi vivono in pace e collaborano per il benessere e la valorizzazione di questa campagna. Li unisce il gallo nero, «simbolo forte, che lega un vino e un territorio; è uno dei marchi più celebri al mondo».
La formula del barone
Il vino, il Chianti Classico. Conosciuto da secoli, trovò nel barone Bettino Ricasoli (tipico esponente della nobiltà toscana, lavoratrice e imprenditrice) l’inventore della formula ideale di produzione: un blend (miscela) di uve rosse e bianche per vini di pronta beva (facili, di tutto pasto) e un blend di sole uve rosse per vini destinati all’invecchiamento; il barone fu lungimirante.
Da allora qualcosa è cambiato. È diversa la formula: la percentuale di uva bianca è andata progressivamente diminuendo, fino a scomparire del tutto dal 2006 (ultimo anno in cui fu ammessa); ora il Chianti Classico è prodotto solo con uve rosse: 80% (come minimo) di Sangiovese, il vitigno tipico della zona, e il restante 20% di vitigni autoctoni (colorino, canaiolo, malvasia nera ecc.) oppure internazionali, come il Cabernet-Sauvignon.
È cambiato anche il modo di concepire il vino: prima era un alimento vero e proprio, da consumare tutti i giorni, perché doveva riscaldare, fornire calorie, energia. «Oggi beviamo il vino semplicemente perché ci piace»; (com’è noto, fa anche bene alla salute, ma non dobbiamo eccedere).
Oltre al Chianti Classico, si creano altri vini, quali il Vin Santo Dop del Chianti Classico (in due varianti: il Vin Santo Classico e l’occhio di Pernice) e vini Igt, soprattutto rossi; questi, svincolati da disciplinari, sono prodotti con la massima libertà: anche 100% di un unico vitigno.
Non di solo vino
L’altra grande eccellenza del territorio è l’olio Dop Chianti Classico: extravergine dal sapore fruttato, con sentori di carciofo crudo ed erba fresca, gradevolmente piccante in gola.
E poi la carne chianina, tenera e saporita, i prelibati salumi di cinta senese (“storico” porco immortalato in numerosi dipinti e affreschi), i formaggi pecorini, sapientemente realizzati. Infine produzioni particolari, quali lo zafferano (soprattutto nel territorio di Greve), la lavanda e l’iris, coltivati per estrarne essenze per profumi.
Arte e saggezza
Nel Chianti «c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire»; basterebbe visitare le centinaia di aziende vinicole: «sono un patrimonio immenso, e anche sconosciuto», con i loro castelli e le ville, magari inaspettatamente affrescati, con i loro giardini, all’italiana o “romantici”. Preziosi borghi come San Gusmè, Fonterutoli, Montefioralle; gioielli come la Pieve di San Leolino a Panzano o quella di San Donato in Poggio; piccoli, succosi musei, quali l’Antiquarium di Castellina (con i reperti etruschi trovati nella zona), il Museo Vicariale d’Arte Sacra a San Casciano e il Museo di Arte Sacra di San Francesco a Greve.
Quindi l’arte contemporanea; la troviamo un po’ dappertutto, per fortuna: «è un significativo trait d’union con il passato In particolare, grazie all’investimento di aziende private, sono nate strutture come il Castello di Ama; qui, ogni anno, per creare un’installazione viene un importante artista, come per esempio Michelangelo Pistoletto, Daniel Buren e Anish Kapoor».
Concludiamo con le case coloniche, parte integrante del paesaggio chiantigiano. E pensare che chi le ha costruite non sapeva niente di Frank Lloyd Wright; si dice che l’architetto americano abbia pianto di commozione (e forse anche di rabbia) scoprendo che l’antica saggezza di contadini analfabeti aveva anticipato di qualche secolo le sue teorie dell'”architettura organica” e la sua Casa sulla cascata.
Chianti: Al canto del gallo
Siena e Firenze si combattevano per il dominio sul Chianti. Decisero di risolvere la questione pacificamente: al canto del gallo, avrebbero fatto partire un cavaliere per ciascuna su un percorso stabilito. Dove i due cavalieri si sarebbero incontrati, lì sarebbe stato il confine fra le città.
I senesi affidarono la propria fortuna a un gallo bianco, bello, pasciuto e forte, simbolo della loro opulenza; i fiorentini, in questa circostanza, furono più furbi: scelsero un galletto nero, magro e patito; lo tennero a digiuno per diversi giorni, al buio. La notte precedente la partenza, appena tolto dalla gabbia, il gallo nero, esasperato dalla fame, cominciò a cantare ben prima dell’alba. Così il cavaliere gigliato partì d’anticipo su quello senese, incontrandolo a Fonterutoli, a pochi chilometri da Siena. La maggior parte del Chianti fu fiorentina, e il suo simbolo divenne il macilento animale.
L’intervistata (nella foto in alto a destra): Silvia Fiorentini, membro del CdA della Strada del Vino e dell’Olio Chianti Classico
Strada del Vino e dell’Olio Chianti Classico
Via Sangallo 41, Loc. Sambuca, Tavarnelle Val di Pesa
0558228522/25 – strada@chianticlassico.com
Articolo scritto da Francesco Giannoni per L’Informatore Coop